L'upcycling permette di esplorare infiniti stili e tecniche, lasciando la creatività del designer libera di prosperare. Oggi entriamo nel mondo del deconstructed vintage denim, scambiando due chiacchere con uno dei migliori brand del settore: Fade Out Label.
Ripensando in maniera creativa il modo in cui il denim può essere riutilizzato, il marchio si libera dalle regole standard della moda, ottenendo risultati unici.
Fade Out Label è un marchio basato a Berlino ma con radici italiane. Andrea Bonfini è il designer dietro l'etichetta e si è seduto con la redazione di Revibe per raccontare un po' di più sul suo percorso e sulla sua visione dell'industria della moda.
Andrea, come descriveresti il mood e l'estetica del tuo lavoro?
Se dovessi scegliere tre parole chiave per descrivere il mio stile, sceglierei concreto, contemporaneo e dinamico.
Tra le tue creazioni, qual è quella a cui sei maggiormente legato fino ad oggi?
La risposta immediata sarebbe che non ne ho una in particolare, o meglio, ne ho troppe. Ogni giorno mi sveglio con un umore diverso che influenza il mio modo di vestire, quindi ogni giorno ho un pezzo preferito diverso. Devo ammettere, però, che la capsule collection chiamata **"KOTTI" **(unica nel suo genere, P/E 2020), realizzata con striscioni di una vera protesta raccolti per strada, mi emoziona ancora molto.
Li considero DADA, veri e propri readymade rettificati: tessuti creati per una funzione specifica (in questo caso soprattutto lenzuola), riciclati con scritte e slogan, poi buttati via dopo la manifestazione e infine recuperati da me, modificati nuovamente, e introdotti nella moda contemporanea. Lo considero un approccio molto concettuale.
Hai sempre pensato di diventare uno stilista di moda?
Sì, fin dall'asilo. Ma non mi ricollego completamente al termine fashion designer, perché preferisco definirmi un artigiano dell'abbigliamento.
"Non mi identifico pienamente con il termine stilista di moda. Preferisco definirmi un artigiano dell'abbigliamento."
Avendo lavorato sia a Roma che a Berlino, come definiresti l’influenza che questi luoghi hanno avuto sul tuo stile di lavoro?
Roma mi ha cresciuto e la considero la città più bella del mondo! La città ha avuto un'enorme influenza su di me quando si tratta di design, estetica e capi di qualità. In Italia quando qualcosa è bello ma non funzionale, diciamo: "Bella ma non Balla".
Ma, siccome anche io volevo ballare, ho preso la decisione di trasferirmi a Berlino! Una città così vivace mi ha aiutato ad evolvere il mio stile, abbracciando approcci più pratici, concreti e sostenibili.
Come hai visto evolvere l'approccio del mercato della moda nei confronti dell'upcycling?
Oggi possiamo dire che la moda upcycling è una realtà globale e le creazioni upcycling sono quasi ovunque. Non era affatto così il mercato quando ho lanciato il mio marchio. Quando ho iniziato con FADE OUT LABEL, il mercato non era così aperto all'upcycling. Tuttavia, alcune opportunità sono arrivate, in particolare da una delle capitali mondiali della moda, Parigi.
Dal 2015, fiere di moda molto conosciute come Denim Premiere Vision, Premiere Classe e Who's Next, mi hanno invitato più volte ad esporre le mie collezioni. Devo dire che in quei primi tempi, un tale livello di apertura e di fiducia era un vero atto di coraggio!
Ero l'unico marchio di upcycling che presentava collezioni di abbigliamento realizzate interamente con tessuti riciclati e denim patchwork. Il mio approccio fu inizialmente uno shock per molte persone. Molti espositori guardavano i miei vestiti con disgusto e li snobbavano, mentre persino alcune famose riviste di moda si rifiutavano di pubblicare le foto dei miei pezzi perché la redazione li considerava una sorta di lavoro anti-moda. Per fortuna i team di queste fiere hanno creduto nella sostenibilità e hanno lodato l'originalità del progetto, premiandomi come "designer dell'anno" per 3 anni di seguito!
Qualche anno fa, anche famose riviste di moda si rifiutavano di pubblicare i miei pezzi perché le redazioni li consideravano 'anti-moda'. Ora tutti parlano di upcycling.
Quindi, per dare una panoramica più ampia dei mercati e per aggiungere qualche nome alla lista delle mie città preferite, aggiungerei Parigi e le sue fiere, con cui collaboro ancora, Tokyo e i suoi buyer intelligenti, e anche Londra. Lì ho ricevuto grande sostegno e visibilità: dalla piattaforma online Not Just A Label e dal Victoria & Albert Museum che nel 2017 mi ha nominato il "brand di upcycling più cool del momento" e mi ha chiesto di scrivere l'introduzione al loro libro su moda e patchwork.
I mercati europei sono cambiati molto in soli 7 anni e ora il futuro dell'upcycling sembra più luminoso che mai.
Le tue collezioni non sono basate su una frequenza stagionale, ma sul concetto di "collezione permanente". Pensi che sarà lo standard in futuro?
Onestamente no, non credo che le collezioni permanenti saranno il futuro dell'industria della moda, molto probabilmente solo un piccolo numero di marchi (come il mio) le adotteranno come metodo di produzione.
Ho deciso di avere una collezione permanente, di capi ripetibili ma unici, perché credo nell'originalità delle mie idee e amo le mie “creature di pezza”. Voglio dare alle persone che si innamorano di uno qualsiasi dei miei prodotti la possibilità di averli e indossarli in qualsiasi momento dell'anno, indipendentemente dalla stagione in cui ci troviamo. Tuttavia, questo modello non mi impedisce di creare pezzi unici e irripetibili, realizzati con materiali molto rari che danno totale sfogo alla mia immaginazione.
L'ultima volta che ti ho chiesto dove trovavi l'ispirazione, mi hai risposto correttamente dicendo che viene da "tutte le esperienze in noi". Ma durante quell'intervista, menzionavi anche i 'graphic novel' di Max Ernst, e ho trovato il collegamento molto interessante. Potresti dirci qualcosa di più al riguardo?
L'artista surrealista Max Ernest iniziò a comporre romanzi grafici già nel 1922. Questi libri includono immagini create con la tecnica del collage da vecchie illustrazioni di enciclopedie e altri romanzi vittoriani. Il mio metodo di creazione di abiti in patchwork segue la stessa filosofia dei collage, ma qui si usa il tessuto.
La moda ha abbracciato la tecnica del collage-patchwork degli artisti surrealisti e futuristi, aggiungendone il proprio senso estetico.
Il collage è una tecnica artistica inventata dai pittori cubisti e ripresa da molti artisti in seguito e non limitata all'universo della pittura. Alcuni esempi sono Ernst e gli artisti futuristi, come Giacomo Balla o la cofondatrice del movimento artistico dell'Orfismo Sonja Delaunay. Anche la moda ha abbracciato l'idea, attraverso la tecnica del patchwork. Alla fine, io e molti designer di patchwork, stiamo ancora elaborando lo stesso concetto originale di collage, aggiungendo la nostra creatività personale a queste fondamenta semplici ma forti.
Non posso fare a meno di chiederti della tua famosa collezione "You Are What You Wear" presentata durante la Fashion Week di Berlino 21. Come è nata l'idea?
Qualche anno fa a Parigi, un negozio di moda ha organizzato un evento per mostrare le collezioni del mio marchio. I due proprietari mi chiesero di pensare a qualcosa per decorare le vetrine. C'erano due grandi vetrine e non avevo molto tempo per pensare a un allestimento. Così ho istintivamente dipinto sul vetro in grandi lettere bianche: "You are what you wear".
Volevo che fosse una provocazione sulla sovrapproduzione e l'insostenibilità dell'industria della moda. È chiaramente ispirato allo slogan delle campagne di sensibilizzazione sul cibo sostenibile: "sei quello che mangi" (in inglese, "you are what you eat"). L'ho semplicemente adattato al contesto moda.
Questa frase è subito diventata il mio mantra e ho iniziato a ricamarla su alcuni capi speciali, che ho anche esposto durante la settimana della moda di Berlino nel 2021, durante una sorta di inaspettato striptease dal vivo sulla passerella.
"YOU ARE WHAT YOU WEAR" è diventato il mio mantra, una provocazione contro la sovrapproduzione e l'insostenibilità dell'industria della moda.
Chi sono alcuni marchi o colleghi designer con cui ti piacerebbe collaborare?
A volte collaboro con alcune marche di abbigliamento indipendenti, ma ciò che mi dà più gioia è creare abiti e look per musicisti, artisti e ballerini, soprattutto per i "walkers" (voguing) e le loro sale da ballo. Per me è energia pura!
Cosa possiamo aspettarci da Fade Out Label nel 2022?
Nel 2022 ci saranno nuove capsule collection, caratterizzate dall'iconico denim patchwork di Fade Out Label, e nuovi materiali di upcycling.
A maggio Berlino ospiterà l'evento internazionale Denim Premiere Vision, e sto curando per loro la campagna d'immagine, alcuni accessori, uniformi per le hostess, e molto altro. Inoltre, presenterò una nuova capsule collection durante l'evento.
A parte questo, credo nel caso (o nel_ karma_, se preferite). La maggior parte delle volte, cercherò di attirare e sfruttare nuovi incontri e opportunità cool che fluttuano nell'aria. Come diceva Picasso: "Non cerco, trovo".
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