Quando pensiamo all'upcycling, siamo spesso portati a pensare al trend del DIY (dall’inglese “Do It Yourself”), che rimanda ad una moda percepita come disordinata e poco elaborata. Tuttavia, l'upcycling è sempre più utilizzato come vero e proprio metodo di produzione piuttosto che un mero trend creativo. Negli ultimi anni è fiorito ovunque, sia tra gli stilisti emergenti che tra le case di moda più affermate.
Oggi i volti e le espressioni delle tecniche di upcycling sono molteplici. Ma in un mondo in cui la moda non è mai stata così veloce, una contestualizzazione è essenziale per comprendere meglio le nuove dinamiche di creazione. Analizziamole insieme.
L'upcycling è parte integrante del cosiddetto movimento della moda "circolare", ovvero una moda più consapevole e attenta al proprio impatto ambientale e sociale. Da qualche anno a questa parte, i marchi devono far fronte a una crescente domanda di prodotti dall’impatto minimo o neutro soprattutto da parte delle generazioni più giovani, i Millennials e GenZ, sempre più consapevoli delle problematiche legate al riscaldamento globale. Secondo uno studio condotto da McKinsey nell'ottobre 2021, il 58% dei consumatori di moda sostenibile avrebbe infatti meno di 35 anni. Ma GenZ e Millennials sono oggi anche la maggioranza dei consumatori del lusso: tra il 2021 e il 2022, il 63% dei GenZ e dei Millenials hanno acquistato uno o più articoli di lusso, rispetto al 45% della Gen X e al 25% dei Baby Boomers (Klarna, 2022).
Il 58% dei consumatori di moda sostenibile oggi ha meno di 35 anni.
I marchi e i grandi gruppi si trovano quindi di fronte a una domanda che li costringe a ripensare il modo in cui progettano le loro collezioni. È questo il caso di LVMH - l'azienda leader mondiale del lusso - e del suo programma LIFE360. Nel 2012 LVMH ha creato il programma LIFE con l’obiettivo di porre lo sviluppo sostenibile al centro delle strategie di tutte le sue case. Nel 2020, LIFE diventa LIFE360 e si consolida di fronte all'emergenza climatica: si struttura attorno a pilastri principali come la tutela della biodiversità, l'integrazione dell'eco-design, la forte tracciabilità e l'effettiva riduzione delle emissioni di carbonio. Sono emerse anche alcune misure chiave: nuovi servizi di circolarità (upcycling, riparazione), certificazione dei materiali, nuove fonti di energia rinnovabile, ecc. Una vera e propria strategia che nel 2021 ha portato il gruppo a lanciare Nona Source, un marketplace B2B interamente dedicato al riutilizzo di tessuti e materiali delle principali case di lusso.
Ma LVMH non è l'unico gruppo a compiere uno sforzo significativo per l'ambiente: Kering, Richemont, Puig, il Gruppo Moncler sono tutti attori del cambiamento su scala più ampia, con strategie simili a quelle della maison di Bernard Arnault.
Anche i marchi più piccoli giocano un ruolo importante verso il cambiamento dell'industria della moda. Tuttavia, le misure adottate da molti di loro possono talvolta sembrare un po' limitanti, a causa della difficoltà di applicare metodi più radicali nel breve periodo. Infatti, molti di loro si limitano all'eco-design e all'uso di fibre innovative (come Piñatex o Orange Fiber) o al riciclo di fibre sintetiche come il poliestere, il nylon, e così via. Sebbene queste tecniche rappresentino uno sforzo reale con un impatto misurabile, esistono altre soluzioni ancora meno inquinanti e meno sfruttate.
I quattro pilastri su cui si fonda l'economia circolare, le 4R: resale, rent, repair and rework.
È qui che entriamo nella realtà dell'economia circolare, basata su 4 pilastri principali chiamati "le 4 R": rivendita, noleggio, riparazione e upcycling (in inglese: resale, rent, repair and rework). Mentre la rivendita e il noleggio sono più legati al business, la riparazione e l'upcycling rimangono tecniche di produzione con un impatto ecologico quasi nullo, il che le rende opzioni molto interessanti in termini di sviluppo sostenibile. Negli ultimi anni, molti marchi si sono interessati a queste soluzioni, fino ad integrarle come elementi centrali della loro attività e della loro visione.
Vivienne Westwood, o "imperatrice del punk", è stata una vera e propria avanguardista nel mondo dell’upcycling molto prima che venisse definito come un vero e proprio modello di business. Negli anni '80, ha trovato ispirazione nel fascino retrò degli anni '50 e ha rielaborato i capi con il mantra punk “Do It Yourself” che ha definito molti dei suoi primi lavori. Dopo aver smontato capi pronti per l'uso, modificato i singoli pezzi con varie tecniche e poi ricucito tutto insieme, Vivienne Westwood ha creato pezzi unici che hanno contribuito a definire il suo stile. Non male per una persona che non pensava di avere un futuro nel mondo del design.
Naturalmente possiamo parlare anche di Stella McCartney, la pioniera contemporanea della sostenibilità nella moda. Sin dagli esordi nel 2001, il marchio è stato costruito intorno a una lotta continua per l’eco-rensposabilità, dall'impegno per la causa animale all'utilizzo di materiali innovativi e responsabili. Recentemente, Stella McCartney ha messo sotto i riflettori l'upcycling con la sua sfilata per la A/I 2019-2020, durante la quale alcuni modelli hanno sfilato con capi realizzati interamente con scarti di tessuto e t-shirt invendute. Inoltre, Stella McCartney ha inserito a pieno titolo l'upcycling nel suo Manifesto pubblicato nel 2020, per "dimostrare l’impegno come casa di moda a riutilizzare, trasformare e riciclare i tessuti già esistenti, che si tratti di vecchi tessuti o di scarti di tessuto provenienti da altre fonti", come afferma la stilista durante un'intervista per Vogue (2021).
Quando si parla di upcycling, è difficile non citare Marine Serre, che incarna un'intera generazione di giovani designer impegnati. Dalla fondazione del marchio nel 2016, il suo desiderio radicale di una moda più consapevole si è concretizzato in una forte narrazione, con materiali riciclati e upcycled al centro dei requisiti della produzione. Lo abbiamo visto in molti dei suoi lavori: ad esempio "Fichu for Fichu" (Primavera/Estate 2022), che presenta capi realizzati con tovaglie e lenzuola trasformate, o la linea Regenerated Denim. Oggi, il 50% delle collezioni presentate dal brand francese è composto da materiali riciclati o upcycled.
Infine, possiamo dobbiamo ovviamente citare i metodi di produzione upcycling dell’attivista Martin Margiela: nel 1989, lo stilista belga ha creato una linea di abbigliamento interamente realizzata con sacchetti di plastica Franprix e materiali riciclati, come modo per criticare la società consumistica e avviare la discussione sul potenziale estetico degli oggetti di uso quotidiano. Nel 2020, John Galliano ha reso omaggio a questo approccio creando la linea Recicla, composta da abiti di seconda mano trovati nei negozi di beneficenza di Londra, poi trasformati il più possibile per dar loro una nuova vita. L'upcycling come modo per infondere una nuova identità agli oggetti del passato è parte integrante di Maison Margiela fin dalla sua fondazione.
"Non dobbiamo sempre fare un nuovo trench ogni stagione e cambiare il bottone qua e là (…). Se presenti dei capi in un contesto diverso, questi diventano nuovi", R. Van Der Kemp
Anche se l'upcycling e il lusso hanno dimostrato di non essere incompatibili, questa tendenza è stata più lenta a raggiungere le prestigiose passerelle dell'alta moda. Lo stilista olandese di alta moda Ronald Van Der Kemp è considerato uno dei primi a incorporare l'upcycling nelle sue passerelle: quando ha creato il suo marchio omonimo nel 2014, è diventato uno stilista sostenibile proponendo l'idea di reinventare l'alta moda in modo che fosse più orientata al futuro. Per Van Der Kemp si tratta di “ri-contestualizzare” la sostenibilità: "Voglio dimostrare che non dobbiamo sempre fare un nuovo trench ogni stagione e cambiare il bottone qua e là (…) se presenti gli abiti in un contesto diverso, diventano di nuovo nuovi", ha detto.
Nel 2016, altri due stilisti olandesi hanno fatto scalpore sventolando la bandiera dell'upcycling in una sfilata di alta moda. Con la collezione "Vagabonds" (AW16-17), Viktor & Rolf hanno reso un glorioso omaggio al passato utilizzando pezzi delle loro collezioni precedenti per comunicare una nuova visione orientata al futuro. Dopo questa pietra miliare, le collezioni haute-couture della maison olandese hanno incorporato l'upcycling come parte integrante del loro processo creativo. Oggi, la maison enfatizza la nozione di design consapevole, con un semplice mantra: fare di più con meno.
Il concetto di "ostentatamente vecchio", "le flambant vieux", è un lavoro di coscienza sulla gestione dei rifiuti nell'alta moda.
Infine, possiamo citare il tributo di Jean Paul Gaultier all'upcycling durante la sua ultima sfilata haute-couture nel gennaio 2020. In un'intervista ha dichiarato: "Ho aperto tutti i cassetti, ho recuperato tutte le mie vecchie collezioni, tutto ciò che ho trovato viaggiando o al mercato delle pulci per farne coriandoli e riutilizzarli… un intero lavoro di artigianato e cucito". Quello che la stilista descrive come "ostentatamente vecchio" ("le flambant vieux" in francese) è in realtà un lavoro di coscienza sempre più compiuto sulla gestione dei rifiuti tessili nell'alta moda.
Sebbene sia ancora agli inizi del suo successo, l'upcycling sta diventando un metodo di produzione sempre più utilizzato in tutti gli ambiti del design. Di fronte all'emergenza climatica, questa tecnica di gestione e rilavorazione dei rifiuti merita tutta la nostra attenzione perché sta diventando sempre più importante, sia per il suo positivo impatto ambientale che per il suo infinito potenziale creativo.